Biografia di Salvatore Fiume
(1915-1997). Salvatore Fiume, nato a Comiso ma di formazione milanese, nel 1936, terminati gli studi, si recò nella città meneghina dove entrò nella cerchia di artisti e intellettuali del calibro di Dino Buzzati e Salvatore Quasimodo. Nel 1938 si trasferì a Ivrea, presso la Olivetti, come art director di una rivista culturale particolarmente cara al presidente, Adriano Olivetti, alla quale collaboravano intellettuali di prestigio come Franco Fortini e Leonardo Sinisgalli. Sebbene intendesse affermarsi come pittore, Fiume ottenne il suo primo successo con un’opera letteraria, il romanzo autobiografico Viva Gioconda!, pubblicato nel 1943 dall’editore Bianchi-Giovini di Milano. Per potersi dedicare completamente alla pittura, nel 1946 lasciò la Olivetti e si stabilì a Canzo, vicino a Como, dove adattò a studio un’enorme filanda dell’Ottocento che dal 1952 divenne la sua residenza definitiva (ora è la sede della Fondazione Salvatore Fiume).
Al 1952 risale, su suggerimento di Alberto Savinio, la prima esperienza di Fiume nella scenografia. In quell’anno eseguì per il Teatro alla Scala i bozzetti per le scene e i costumi per La vita breve di De Falla e per Le creature di Prometeo di Beethoven. Seguirono Medea di Cherubini (1953), La Fiamma di Respighi (1954), Norma di Bellini (1955), il Nabucco di Verdi (1958) e il Guglielmo Tell di Rossini (1965). Collaborò poi con altri importanti teatri, come il Covent Garden di Londra (Aida di Verdi, 1957), il Teatro dell’Opera di Roma (Medea, 1954), il Teatro Massimo di Palermo (I Capuleti e i Montecchi di Bellini, 1954) e il Teatro dell’Opera di Montecarlo (Il Campanello di Donizetti, 1992), con cui concluse la sua collaborazione con il teatro dell’opera.
L'opera
Produzione: Teatro Massimo, Palermo
Stagione: 1954
Opera: Capuleti e Montecchi (1830, prima rappr. Teatro La Fenice, Venezia, 1830)
Autore: Vincenzo Bellini, su libretto di Felice Romani
Regia: Corrado Pavolini
Direzione d’orchestra: Vittorio Gui
Scenografia e costumi: Salvatore Fiume
Sartoria: Pipi, Palermo
Note: l’apparato documentario conservato nell’archivio Pipi è composto di due lettere autografe a firma di Salvatore Fiume: una datata 2 febbraio 1954, spedita all’indirizzo di Antonino Pipi dallo studio d’artista del pittore Edmondo Orsenigo (?), con note costumistiche relative a certe corazzette che lo stesso Orsenigo avrebbe dovuto poi dipingere:
Milano 2-2-1954
Egregio Signor Pipi scusi se le faccio subito rispedire le corazzette degli “scudieri di Romeo” che devono essere corrette come qui le suggerisco: [bozzetto] questo punto deve corrispondere al femore di chi lo indossa questo, invece, a cm 15 dal femore come vede tratteggiato. Poiché non va bene lo sbuffo bianco sulle maniche delle corazzette in questione, mentre deve risultare un elemento pressoché sferico e rigido come gli elementi che vi sono ai gomiti, [in sottolineato nel testo] la prego di toglierlo e sostituirlo (naturalmente in tutte e otto le corazzette). La prego infine di accertarsi che le maniche non siano lunghissime come appaiono adesso. Una volta fatte le correzioni, non occorrerà spedire le corazzette a Milano perché le dipingerà a Palermo in Sig. Orsenigo. Gradisca i miei cordiali saluti. Salvatore Fiume.
L’altra, sempre all’indirizzo del Pipi, di due settimane più tarda, 16 febbraio 1954, encomiastica del lavoro svolto dai Pipi per l’opera palermitana:
«Egregio bravissimo signor Pipi, sono entusiasta del suo lavoro, della sua sensibilità, della sua intelligenza e dei suoi preziosi collaboratori. Sono felice di aver visto e toccato con mano i costumi che ho disegnato per i “Capuleti e Montecchi” realizzati come non credevo che sarto potesse fare: è un mio chiodo pensare i costumi come delle sculture policrome e poi temere che una volta confezionati non permettano a chi li porta, scioltezza nei movimenti. Lei mi ha dimostrato invece che pur riproducendo in modo incredibilmente perfetto le forme dei miei costumi – chi li porta non solo vi si può muovere come se li avesse sempre portati – ma gode a portarli, come è capitato in specie ai personaggi delle prime parti che giravano pei corridoi e non finivano di andare a guardare allo specchio e far galanterie a chiunque incontrassero. Dato questo successo – caro Signor Pipi, penso che io e più ancora lei non potevamo desiderare dal nostro lavoro maggiore soddisfazione. Vorrei avere mille volte l’occasione di far realizzare costumi per il teatro per dimostrarle la mia ammirazione e la mia tenacia a non cambiare più sarto. La saluto cordialissimamente. Suo Fiume. »
L’apparato iconografico è composto di una sola fotografia della cantante Rossana Carteri nei panni di Giulietta, nella produzione palermitana del ’54.
Cast, Palermo 1954
Romeo Montecchi: Giulietta Simionato, mezzosoprano
Giulietta Capuleti: Rosanna Carteri, soprano
Tebaldo, Renato Gavarini, tenore
Lorenzo, medico e familiare dei Capuleti: Umberto Borghi, basso
Capellio Capuleti, padre di Giulietta, Giorgio Tadeo, basso.
Il libretto d’opera, per l’occasione presenta sei sue scenografie: I atto, I e III quadro; II atto, III atto, I, II e II quadro. Esse sono fortemente intrise della maniera del maestro ed ancora della pittura e scultura italiane dell’anteguerra, fatte di volumetrie solide, metafisiche, classicheggianti; di un classicismo espressamente ispirato ai Primitivi italiani ed a Piero della Francesca in particolare. Sul versante dei suoi contemporanei, oltre ad un esplicito riferimento al post Impressionismo di Paul Cézanne – a cui molti giovani artisti tra le due guerre si ispireranno – ed al Cubismo, forte appare il debito verso l’estetica di Novecento, di Giorgio De Chirico e di Mario Sironi in particolare.
La Biblioteca del Teatro Massimo di Palermo, alla segnatura: Raccoglitore 2, Figurini 1953-1954, 26 + 3A, da inv. 1699 a 1724, presenta pressoché intera la costumistica dell’opera. Se ne evince una stringente coerenza stilistica con l’impianto scenico, anch’essa disegnata, dunque, tramite volumetrie solide e colori accesi e divisati in funzione scenica ma anche araldica, in ossequio al sistema metalinguistico tardo medievale e rinascimentale delle città italiane. Vi si aggiunge un carattere di gigantismo, diremo espressionistico, volto a dare equilibrio ai personaggi in rapporto alle architetture, ma anche in funzione di maggiore risalto degli stessi sulla scena.
Nell’interpretazione che i Pipi fanno di codesti caratteri, alcune volumetrie si attenuano e la tavolozza si stempera. L’esemplare qui presentato (Giulietta), posto a confronto con il figurino originale (Raccoglitore 2, Figurini 1953-1954, 26 + 3A, inv. 1703, n. scheda 96, coll. fisica D02b005 1/2, olio su cartone lucido, 34×25, iscrizione: CAPULETI / 18 / GIULIETTA / ABITO ADATTO A SPOSA IN CHIESA – MATTINALE), conferma tale impianto. Ma l’attenuazione non valse comunque una critica unanime all’impresa Fiume-Pipi: malgrado l’apprezzamento ed i toni encomiastici del pittore per la sartoria palermitana, dalle pagine di «Melodramma» (I, 2, 15, febbraio 1954), che dedica alla produzione un ampio resoconto dell’opera, leggiamo di un Fiume suggestivo («Il Messaggero») ma impacciato nel passare dal registro pittorico a quello scenografico («Giornale di Sicilia», «Il Giornale d’Italia», «Sicilia del popolo»), e dalle ambientazioni della sua recente Medea per la Scala di Milano (1953), al rinascimento italiano dell’opera di Bellini.